Di Marco Martini
IMPORTANTE PREMESSA: Coronabond e MES sono strumenti del tutto inadeguati e pericolosi per il nostro stesso futuro. L’articolo seguente non ha intenzione di favorire uno strumento sull’altro, si basa sull’analisi di un fatto politico rilevante avvenuto nei giorni scorsi e delle ipotetiche implicazioni che potrebbe avere nel futuro prossimo dell’Europa. Per risolvere il problema della crisi e ridare slancio strutturalmente all’economia nazionale è necessario investire sul risparmio privato degli italiani, garantendolo e mettendolo a frutto con il Piano di Salvezza Nazionale proposto, tra gli altri, da Nino Galloni e Guido Grossi. https://pianodisalvezzanazionale.it/
La scorsa settimana, in ambito europeo, si è verificato un fatto inatteso: la Francia di Macron ha preso apertamente le difese dell’Italia (e della Spagna), chiedendo all’Eurogruppo di allargare i cordoni della borsa davanti alla crisi sistemica in corso, dovuta all’emergenza Covid-19. Come è noto, il blocco dei Paesi centro-settentrionali – particolarmente Germania e Paesi Bassi – si è opposto a misure di gestione del debito in comune, come i ventilati “coronabond” promossi dal premier Conte e da alcuni Paesi europei. Macron ha usato parole di fuoco verso l’alleato tedesco, che in tempi di vacche grasse ha sempre rappresentato l’altra metà di un asse portante dell’UE che ricordava molto, idealmente, l’assetto europeo dell’Alto Medioevo, dominato dall’Impero carolingio.
Nel 2019 Francia e Germania hanno firmato il Trattato di Aquisgrana, che anche simbolicamente (Aquisgrana era l’antica capitale del Sacro Romano Impero) sembra andare nella direzione di una guida franco-tedesca dell’Europa sempre più marcata. Oltre a una maggiore cooperazione politica ed economica – con la creazione di uno spazio economico franco-tedesco – il trattato prevede una forma di integrazione militare tra i due Paesi, che molti osservatori hanno visto come un possibile embrione di esercito comune europeo, in opposizione alla sempre più tremebonda NATO. La stipula del trattato ha portato con sé polemiche politiche, soprattutto in ambito francese: Marine Le Pen ha accusato il trattato di provocare una spinta per la condivisione del seggio permanente al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite della Francia con la Germania (che non lo detiene), mentre da più parti giungevano voci di malumori tra i vertici dell’esercito francese, preoccupati di condividere l’atomica (la Francia è potenza nucleare) con la Germania.
Tutto questo però accadeva prima dell’esplosione della pandemia di Covid-19, che sta cambiando tutte le carte in tavola. L’uscita decisa di Macron contro il rigorismo germanico ha colto di sorpresa un po’ tutti e sembra preludere a un possibile cambio di rotta della politica estera francese. E’ presto per fare ipotesi, vedremo cosa succederà nel corso del mese, quando il Consiglio Europeo tornerà a riunirsi per valutare la situazione. In questa emergenza drammatica, in una quindicina di giorni può succedere davvero di tutto: anche un’estesa rivolta popolare nelle aree più disagiate, se non dovessero arrivare misure efficaci per il sostegno di imprese e famiglie. I servizi segreti italiani, a quanto risulta, hanno già allertato il governo in tal senso.
Tempistiche così lunghe da parte dei leader europei fanno già capire la complessità del problema, che appare anche di natura culturale. Siamo in una fase storica di grandi cambiamenti, in cui il mondo sta rapidamente tornando a dividersi in blocchi. Lo scorso anno, Il Foglio parlava con orrore (dal loro punto di vista ultraliberale e filo-atlantico) dell’insorgenza dell’idea di “stato-civiltà”. Riporto: “Uno stato-civiltà è un paese che pretende di rappresentare non solo un territorio, una lingua o un gruppo etnico, bensì una civiltà diversa”, scrive Gideon Rachman sul Financial Times. “E’ un’idea che ha preso piede in Cina, India, Russia, Turchia e perfino negli Stati Uniti. La nozione di uno stato-civiltà ha delle implicazioni illiberali. I tentativi di stabilire dei diritti dell’uomo universali o delle pratiche democratiche comuni diventano inutili, perché ogni civiltà ha bisogno di istituzioni politiche che riflettono la sua unicità. […] “.
In poche parole, dopo la sbornia della globalizzazione neoliberista, che tende a uniformare tutto il mondo secondo un modello non solo economico, ma anche sociale e culturale univoco, le maggiori civiltà mondiali si stanno riposizionando intorno alle proprie istituzioni statali, che esprimono non solo il potere politico ma anche una forma di civilizzazione propria, non sempre coincidente – anzi spesso in opposizione – con i valori occidentali. Un bel trauma per i globalisti, ma il processo è in corso e l’emergenza coronavirus potrebbe amplificarne gli effetti. Qualcosa potrebbe succedere anche alle nostre latitudini.
Le divisioni sui coronabond infatti sembrano esacerbare le differenze culturali che attraversano il continente covando sotto la cenere. Viviamo in società ampiamente secolarizzate, in cui la religione – che in passato ha alimentato suo malgrado le divisioni e i conflitti – ha un ruolo marginale, ridotto alla sfera privata, e si tende da tempo a uniformare, con discreto successo, usi e costumi dei popoli. Tuttavia, emergono con sempre maggiore chiarezza differenze probabilmente insanabili nella concezione della politica e della società tra i due poli dominanti dell’UE: quello latino e quello germanico. Alcuni osservatori hanno già notato alcuni aspetti che sembrano condizionare in modo irreversibile l’andamento dell’UE. Scrive Andrea Zoppolato: “Da sempre infatti nell’Unione Europea convivono due anime dominanti. Quella dei paesi del nord Europa, paesi protestanti, che vivono con sacralità i conti in ordine e aborrono il debito. Nella stessa lingua tedesca debito si dice Schuld, che significa colpa: fare debiti è visto come una colpa da scontare.
Dall’altra parte ci sono le nazioni cattoliche del sud. Nazioni che si ritrovano nel valore della pietas, della solidarietà e, se è il caso, nella remissione dei debiti. “
Nessuno sa cosa succederà, mentre infuria la crisi sanitaria e politica dovuta al coronavirus, e non ci azzardiamo a fare troppe previsioni; resta il fatto che se non si giungerà a un accordo soddisfacente – dal punto di vista delle due parti – si aprirà una crisi imprevedibile. La Francia, paese bandiera del laicismo di Stato ma di antica e radicata fede cattolica – che indubbiamente ha scavato nella coscienza collettiva – e di lingua latina, in questo riemergere delle linee di faglia tra culture plurisecolari potrebbe svolgere il ruolo di ago della bilancia. L’Europa del dopo emergenza, che presumibilmente sarà flagellata da una crisi sia economica che politica, potrebbe rompersi: Aquisgrana andare a monte e Parigi farsi guida di un’Europa latina (allargata ad altre nazioni di cultura non protestante). In un’Europa così divisa probabilmente non avrebbe più senso un’unione monetaria, e si tornerebbe forse, volenti o nolenti, a forme di sovranità più o meno estese. Solo una congettura, una suggestione…? Nel tempo in cui un virus di 0,1 micron mette a repentaglio gli equilibri politici dell’intera umanità, nulla appare impossibile. Vedremo l’evoluzione dei fatti. Noi, in questo scontro tra opposte visioni della gestione del potere in Europa, tifiamo per la soluzione interna, la vera possibile “mossa del cavallo” che può farci uscire da questo caos.
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