Se in questi anni si è potuto ancora ascoltare un dibattito sull’utilità delle grandi opere pubbliche, è stato grazie soprattutto al movimento No-TAV che ha saputo radicarsi sul territorio e produrre documenti di approfondimento tali da rappresentare una forza di resistenza locale difficilmente ignorabile.
I No-Tav sono diventati per antonomasia il simbolo delle istanze “locali” contro le opere “globali” aprendo un vivace dibattito sul tipo di sviluppo che dovremmo intraprendere nei decenni a venire.Il caso del Tav merita pertanto di essere studiato per ragionare sul ruolo delle grandi opere infrastrutturali nelle moderne economie post-industriali. Certamente, premettiamo subito che in politica i sì o i no aprioristici e assoluti sono quasi sempre degli errori. La questione, quindi, come vedremo, non sarà banalmente decidere se le grandi opere pubbliche non andrebbero più fatte o se invece sarebbero sempre positive per i loro risvolti occupazionali e di produttività.
L’idea dell’Alta Velocità della Torino-Lione ha radici lontane. Nasce poco dopo un articolo pubblicato su La Stampa del 1991 intitolato “Treni ad alta velocità. Subito o sarà tardi. L’attuale linea Torino-Lione è quasi satura”. Nell’articolo si prospettava il superamento del limite di sopportazione del traffico merci (stimato in poco più di 14 tonnellate) della tratta che passa attraverso il traforo del Frejus già nel entro il 1997[1]. Si richiedeva con urgenza, di conseguenza, che venisse costruito un altro passaggio ferroviario, da qui l’idea della Torino-Lione. Dal 1991 sono state fatte altre 3 stime sulla crescita del volume di merci nella tratta del Frejus, ma tutte sistematicamente sbagliato a prevedere il trend che invece di crescere non ha fatto che ridursi. L’ultima stima risale all’ormai lontano 2004; a quel tempo si prevedeva una crescita esponenziale del traffico merci su ferrovia nel Frejus ma al contrario, negli anni successivi c’è stata addirittura una riduzione ininterrotta, come confermato anche dall’ARPA[2].
Come si vede dalla figura le stime sul traffico merci sono state riviste per ben tre volte con la stessa aspettativa di crescita esponenziale che non si è mai realizzata. Il traffico merci dei trafori autostradali del Frejus e del Monte Bianco, che costituisce la ratio del Tav, ha invece avuto un calo del 31% tra il 1998 ed il 2014, ma non è mai stata fatta una revisione delle previsioni che sono alla base del progetto. Pertanto, anche l’analisi costi benefici non è più stata aggiornata e per questo il progetto continua a essere, sulla carta, economicamente vantaggioso. I dati sono confermati da AlpiInfo del Dipartimento Federale Ambiente, Trasporti, Energia e Comunicazioni della Confederazione Elvetica, cui si affida tutta l’Unione Europea per il monitoraggio del traffico merci sui valichi alpini. AlpiInfo attesta che i flussi relativi all’interscambio Italia-Francia ammontavano nel 2010 a 23,6 milioni di tonnellate, ridotti di circa il 50% rispetto agli inizi anni 1990 [1].
Peraltro, guardando il grafico, si vede che nel 2004, ultimo anno in cui si è stimato il traffico di merci, vi erano poche conferme empiriche sul fatto che il numero di utenti potenziali sarebbe potuto crescere, dato che erano in picchiata già dal 1997. Perché allora si è tanto insistito per aprire questa nuova ferrovia merci-passeggeri? Il 26 ottobre 2014 la stessa Corte dei Conti francese sembra confermare questa analisi: “troppo bassa la sua redditività socio-economica, è evidente”[2]. Invece siamo ancora qui a parlarne col governo Monti che riapre il caso.
Ad oggi, comprendendo i fondi comuni europei e quelli stanziati dalla parte francese, il Tav arriverà a costare quasi 25 miliardi di euro di cui 8,6 miliardi a carico dell’Italia[3]. Tuttavia, se confrontiamo i costi totali delle tratte di Alta Velocità già realizzate rispetto ai preventivi di partenza, scopriamo che in tutti i casi i costi si sono moltiplicati incredibilmente: la Roma-Firenze è cresciuta di 6,8 volte, la Firenze-Bologna di 4 volte, la Milano-Torino di 5,6 volte. Sulla base di questi fatti si prospetta che il Tav potrebbe costare fino a 6 volte di più rispetto ai preventivi del 1991 rappresentando per la sola Italia una spesa di 40 miliardi di euro. Già nel 2014 il Sole 24 ore avvisava che le stime del costo della Torino-Lione per l’Italia era cresciuto del 50%, raggiungendo i 12 miliardi di euro [4].
L’altro punto cruciale dell’opera sono i rischi ambientali e di salute sulla popolazione della Val di Susa. Il movimento No-Tav ha sempre paventato il rischio che le operazioni di scavo del tunnel avrebbero potuto estrarre rocce ricche di amianto. Questi timori sono stati purtroppo confermati definitivamente il 6 marzo 2014 quando viene pubblicato un documento comune italo-francese in cui tra le altre cose si riportano i risultati sull’analisi dell’impatto ambientale dell’opera. Dalle sezioni di roccia campionate lungo tutto il percorso che costituirà la Torino-Lione si sono trovati lunghissimi tratti di rocce ricche di amianto. Nel rapporto si legge:
“Tali rocce sono caratterizzate dalla presenza ubiquitaria di amianto (tremolite, actinolite e crisotilo), in forma sia fibrosa che aciculare, e da concentrazioni in amianto totale altamente variabili. Considerando i risultati ottenuti dai sondaggi S9 ed S11 è quindi ipotizzabile che le metabasiti attese per circa 400 metri dall’imbocco E del Tunnel di Base siano caratterizzate da concentrazioni in amianto localmente anche elevate; la variabilità nei tenori in amianto rende difficile la previsione di un sistema di scavo che permetta una discriminazione certa del marino ‘pericoloso’ e non. Per questo motivo, alla luce della tipologia di cantierizzazione richiesta per lo scavo in roccia amiantifera e della classificazione del codice CER 170503*, tutto il prodotto di scavo ottenuto lungo il tratto ascritto alla formazione OMB (prasiniti e scisti prasinitici) è considerato ‘rifiuto pericoloso’.”[1]. Il grafico riporta tutti i punti in cui si è effettuata una micro-estrazione di roccia per le analisi; come si può vedere in molti punti ci sono concentrazioni di amianto altissime, ben oltre il valore soglia indicato dalla retta in rosso.
Il totale del materiale asportato dalla montagna e pericoloso in quanto contenete amianto, secondo lo stesso rapporto, ammonterebbe a 320.000 tonnellate che verrebbero stoccate portandolo in Germania con 261 treni per un costo complessivo di circa 56 milioni di euro[1]. Fino alla conclusione dell’opera quindi, la popolazione della Val di Susa sarà esposta per diversi anni a grandi quantità di amianto. Lo stesso è stato confermato anche dal Politecnico di Torino. “Le analisi condotte dal Politecnico di Torino su campioni di roccia prelevati da carote di sondaggi (S8, S9 e S11) indicano, per litologie simili a quelle attese, lo scavo entro formazioni amiantifere pericolose”. I dieci anni di cantieri danneggeranno gravemente la salute degli abitanti: lo studio di VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) presentato dalla stessa LTF calcola “ipotesi di impatto sulla salute pubblica di significativa rilevanza soprattutto per le fasce di popolazione ipersuscettibili a patologie cardiocircolatorie e respiratorie che indicano incrementi patologici dell’ordine del 10%” a causa dei livelli di polveri fini prodotte dai cantieri, e “un aumento delle affezioni respiratorie intorno al 10-15% da riferire soprattutto alle popolazioni particolarmente suscettibili quali bambini ed anziani” per quanto riguarda gli ossidi di azoto[2].
Spesso poi si pensa che le nuove linee di Alta Velocità ferroviaria, potendo competere con certe linee aeree, sostituiranno in automatico molta dell’utenza aerea (molto più inquinante) apportando un grande beneficio ambientale in termini di emissioni risparmiate di CO2. In realtà i treni ad alta velocità rappresentano un mezzo di trasporto spesso troppo costoso per i lavoratori del ceto medio-basso che possono viaggiare per molto meno grazie alle linee low cost. Peraltro, la costruzione di linee ad Av, a causa di un’assenza di pianificazione strategica, comporta il rallentamento o la soppressione di alcuni dei vecchi treni di linea, molto usati dai pendolari, peggiorando il servizio per chi non può spostarsi altrimenti e favorendo invece proprio l’uso dell’aereo. A riprova di ciò, a fronte dell’installazione di 10.000 chilometri di linee ferroviarie Av dal 1993 al 2009, i passeggeri del traffico aereo in Europa sono cresciuti in media del 3-5% all’anno. E si stima che cresceranno di un altro 50% tra il 2012 e il 2030, nonostante l’attuale crisi economica e nonostante i 20.000 km di linee Av che si vuole ancora installare[1]. Uno studio su 56 aeroporti e 28 città di Inghilterra, Francia, Spagna, Italia e Germania tra il 1990 e il 2010 mostra che nella maggior parte delle città esaminate e aeroporti, il traffico aereo è cresciuto, nonostante la presenza di linee ferroviarie Av [2].
Infine, uno studio di Ginés de Rus del 2009 conclude che: “Per un Paese, costruire, mantenere e gestire una ferrovia ad alta velocità può sostanzialmente compromettere sia la sua politica dei trasporti sia il suo sviluppo nell’ambito dell’intero settore trasporti per decenni […] Una esauriente disamina della letteratura economica mostra che le attività di analisi economica sugli investimenti nelle ferrovie ad alta velocità sono quasi insignificanti […] il tema merita uno sguardo più attento, che vada ben oltre il miraggio tecnologico reclamizzato […] Decidere di non realizzare una linea ferroviaria ad alta velocità non è necessariamente una posizione contro il progresso”[3]. Le linee ad alta velocità sono sistematicamente in perdita, come quelle in Francia, mentre le linee secondarie, per permettere all’Av di esistere, sono in continuo deterioramento con danno grave ai pendolari[4].
Vale la pena ricordare infine che anche nell’Av, così come nel trasporto ferroviario urbano e interurbano, è applicata la triste pratica della discriminazione di prezzo. A seconda del giorno della settimana, dell’ora e dell’anticipo con cui si prenota un biglietto del treno, il prezzo varierà con forbici enormi. Gli economisti sanno bene che si tratta di una strategia di marketing pensata per ‘estrarre’ quanti più risparmi possibili al consumatore, approfittando delle esigenze individuali. Al contrario, si potrebbe mettere una tariffa unica in base al semplice chilometraggio e modulare la frequenza dei treni in base alla domanda giornaliera e stagionale registrata. Ma questo implicherebbe accettare di ri-orientare l’obiettivo dei trasporti verso fini socialmente utili e non più al profitto.
[1] Andrea Zitelli e Angelo Romano, “TAV Torino-Lione: a che punto sono i lavori, i costi-benefici, il dibattito pro e contro”, ValigiaBlu, 8 dicembre 2018. https://www.valigiablu.it/tav-torino-lione-lavori-costi/
[2] ARPA 2012. http://www.notav.info/documenti/torino-lione-previsioni-falsate-per-giustificare-miliardi-di-spesa/
[1] “I treni ad alta velocità stanno uccidendo la rete ferroviaria europea”, NoTav.info ,11 gennaio 2014. http://www.notav.info/documenti/i-treni-ad-alta-velocita-stanno-uccidendo-la-rete-ferroviaria-europea/
[2] Impacts of high-speed rail and low-cost carriers on European Air Traffic (PDF), Regina R. Clewlow, 2013.
[3] Economic analysis of high speed rail in Europe (PDF), Ginés de Rus et al., 2009.
[4] Marc Fressoz, FGV: Failite à grande vitesse, le cherche midi, paris 2011.
[1] Ibidem.
[2] SIA Tomo 2di3”, (PP2 C3C TS3 0324 0), cap 4.11 “Pressioni e impatti: salute pubblica”, a pag 268.
[1] Approfondimenti per osservazione Regione Piemonte, Osservazioni nn. 40, 50, 51, 52, 6 marzo 2014, p.28. https://www.autistici.org/spintadalbass/wp-content/uploads/2015/01/PD2_C3B_2012_00-04-94_10-04_Gestione-del-materiale-contenente-amianto_A.pdf
[1] www.bav.admin.ch
[2] http://www.ccomptes.fr/Actualites/A-la-une/La-grande-vitesse-ferroviaire-un-modele-porte-au-dela-de-sa-pertinence
[3] Andrea Zitelli e Angelo Romano, “TAV Torino-Lione: a che punto sono i lavori, i costi-benefici, il dibattito pro e contro”, cit. https://www.valigiablu.it/tav-torino-lione-lavori-costi/#costi
[4] Maria Chiara Voci, “il costo della Tav sale a 12 miliardi “, Il Sole 24 Ore, 24 ottobre 2014. http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2014-10-24/il-costo-tav-sale-12-miliardi-063902.shtml?uuid=ABfB4I6B